top of page

L'AVATAR “GIA“

Benché il mio cognome faccia pensare ad altro, io sono una donna veneziana che ha assunto il cognome della madre, il cui padre era olandese. L’ho fatto per prendere le distanze dal mio, di origini pugliesi, il quale, quando gli dissi di sentirmi lesbica, incazzatissimo, mi cacciò.

E quindi, lasciata casa all’età di sedici anni, siccome ogni tanto qualcosa interviene a bilanciare la sfiga, ebbi la fortuna di vincere una borsa di studio che mi permise di vivere a sbafo per un biennio, diplomandomi poi come baccalaureato in un College internazionale all’estero, e più precisamente nel Regno Unito. Lavorando sodo, in seguito sono riuscita a laurearmi in psicologia, professione che non ho mai esercitato, ma che mi è stata e continua a essermi molto utile per altre faccende, tra cui ottenere la fica delle femmine che mi colpiscono, e che mi sforzo di portarmi a letto.

É stato grazie al mio caro Maestro italiano, che ho potuto lavorare come fotografa e intraprendere così gli studi universitari: mai, io lo ringrazierò abbastanza per la formazione ricevuta; e non solo riguardo alla Fotografia, giacché, per tanti aspetti, lui ha sostituito quel padre che non avevo mai avuto, e che mi ha cacciata. Ormai presa quella strada, laureata, più tardi divenni un’apprezzata artista, riuscendo pure a vendere un numero cospicuo di opere fotografiche, cosa che, se facile all’estero, non è comune nell’italico ambiente in cui ritornai a vivere terminata l’Università.

Tuttavia, nonostante l’apprezzabile successo conseguito negli ambienti dell’arte fotografica, giacché quel modo di esprimermi incominciava ad andarmi stretto, da qualche tempo ho messo da parte la Fotografia; e ciò, perché ho scoperto che mi piace scrivere, arte che non mi pone alcun limite. Su cos’è che scrivo? Sul tema che mi appassiona più di tutti: di noi donne che amiamo le femmine. I miei romanzi non sono pensati per delle educande, certo; ma sono franchi, diretti, e assolutamente privi di sottintesi: rispecchiano, infatti, il mio modo di rapportarmi agli altri.

E a proposito del “rimorchio”, com’è accennato più sopra, salvo che per qualche sfortunata eccezione, grazie a qualche entità divina, sedurre, per me non è mai stato un problema; e ciò, talvolta anche nei riguardi di donne che non hanno ancora scoperto quella che, secondo me, costituisce la voluttà più grande: amarci tra di noi. Al proposito, anche se io mi considero ben lontana da ogni forma di misticismo, ho di me stessa un’idea quasi missionaria: se posso, e senza forzarle, mi piace convertire alla mia “religione” le femmine che mi colpiscono; e parlo della professione di fede migliore… quella attribuita a Saffo, è ovvio.

Riguardo a quanto ho appena dichiarato, perdonatemi se appaio presuntuosa nell’affermare che ciò mi riesce pure bene; e non perché io sia particolarmente valente: giacché sono tante, le stronzate che certi uomini fanno a noi donne, io ho gioco facile.

Per perseverare in questo breve e vanaglorioso racconto di me, abbiate pazienza se sto ancora a scassarvi le palle o le ovaie, a seconda che siate maschi oppure femmine, ma ciò serve a dare una chiave di lettura dei miei romanzi, che mi rispecchiano…

Benché mi consti di essere considerata molto femminile, sin dalla mia infanzia io mi sono sentita volta alle cose palpabili della vita, evitando ogni sorta di masturbazione mentale. Non che io abbia qualcosa contro questa sublime pratica cui sono orgogliosamente dedita quasi giornalmente, e specie quando non ho una fidanzata; tuttavia, non mi va di sprecare la mia vita: per quanto potrà essere lunga, per me, essa sarà sempre troppo breve.

Certo, io riconosco che il mio senso pratico sia da attribuire alla parte maschile che emerge in me; ma chi, al mondo, può dirsi completamente privo delle tracce del sesso opposto al proprio? Probabilmente, è proprio per questo, che a me piace amare in maniera assai poco spirituale e romantica; tantoché, in amore e nel sesso, io vado subito al sodo. In breve, odiando, come dicevo, le inutili perdite di tempo e ogni altro fronzolo, io mi comporto sempre in un modo molto, molto materiale. E, con tutta probabilità, insieme alla mia femminilità, e, mi dicono, fascino, è proprio questa mia caratteristica alla determinazione, che mi rende capace di sedurre pure delle donne convintamente eterosessuali, traendone, oltre che piacere carnale, anche tanta soddisfazione morale.

E non è un caso, che io usi questo termine che a molti potrebbe sembrare improprio, poiché della moralità io ho un concetto che, se personale, è molto chiaro; detta a soldoni, la cosa può così essere spiegata: nell’opulenta e demograficamente esuberante società occidentale, la sessualità non dovrebbe più essere concepita tanto per la riproduzione della specie, quanto per il puro sollazzo; e quindi, giacché praticarla tra persone di sesso diverso comporta l’eventualità di procreare, oppure dei rischi per la salute in seguito all’assunzione di anticoncezionali chimici, secondo me è meglio darsi ai più appaganti, voluttuosi, rapporti omosessuali… giudiziosamente protetti, s’intende.

I casi di “conversione spirituale” di cui mi sono occupata nella mia non troppo lunga vita, trentasei anni, sono stati numerosi; tuttavia, il maggior successo l’ho avuto con le femmine “timorate di Dio” e sature dei pregiudizi inculcati loro. Certo: il pregiudizio! Perché se questo ti dà delle effimere sicurezze, allo stesso tempo, ti rende debole; e se tu sei capace di abbatterlo, ti ritrovi un’anima da rimettere insieme, la quale può diventare molto bella e, finalmente, divenire propria, e non altrui.

Tra le altre vicende amorose che ho avuto il piacere di vivere, alcune me ne sono capitate con delle donne convinte di essere “etero”; delle belle femmine, certamente, ma dal carattere remissivo, e molto deluse dalla loro vita riguardo ai “ritorni” avuti a bilanciare i loro cosiddetti “sacrifici”. E questi miei “rimorchi”, hanno avuto successo a prescindere dal desiderio che poteva provenir loro dalle suppliche di ciò che io considero costituire il centro dell’universo: la nostra fica. Mi è capitato spesso, infatti, di trovarne di convinte che il gentil sesso debba essere fragile, così come, da millenni, ci è stato scolpito nel cuore e nella mente.

Principalmente a causa dei condizionamenti religiosi, che ti promettono un adeguato premio nell’aldilà, commisurato ai sacrifici che sei stata capace di fare “nell’al-di-qua”, mi ricordo di quella mia amica che un tempo ho portato sulla retta via; sedute al Gran caffè Quadri di piazza San Marco, nella mia amata Venezia, lei mi diceva: «Gia, io non mi ci raccapezzo più; ma ti rendi conto? Sono rimasta vergine sino ai venticinque anni; e ciò, con la speranza di donarmi pura quando avrei trovato l’amore vero, l’uomo della mia vita. Quando, però, credevo che fosse arrivato, quello lì, altro non ha fatto, che darmi sofferenza. Eppure, in considerazione della rinuncia, un po’di felicità me la sarei pur meritata; ti pare? E allora, perché la vita è così ingiusta? Perché ho dovuto soffrire?».

Ricordo che le chiesi: «E, secondo te, chi avrebbe dovuto compensarti?».

«Non lo so… il destino, o Dio; almeno così mi hanno fatto credere».

«E se Dio non esistesse? Oppure, se avesse altro di più importante di cui occuparsi? Delle bazzecole, sai… quali le guerre, le stragi del terrorismo islamico, i bambini denutriti o ammalati, l’ebola; oppure occuparsi di coloro che, nel nostro Paese, sono dediti al malaffare, sperperando e rubando il denaro pubblico. Che so, i politici corrotti, i faccendieri, e così via» la incalzai io.

Lo sguardo smarrito, ricordo che lei si domandò e mi chiese: «In confronto a quanto di più tragico accade nel mondo, io lo capisco, che queste mie fisime possano apparire futili; in ogni modo, secondo te, tutte le rinunce che ho fatto, sarebbero state vane?».

«No, tesoro; perché, escludendo Dio, sulla cui esistenza non scommetterei, ti rimane sempre il destino. In ogni caso, tu devi comprendere che non si tratta di qualcosa che ti viene da chissà dove, di definitivo e immutabile: la sorte che ci spetta è sempre transitoria, e siamo noi a determinarla, capisci? Non devi dare ascolto a quei beoti che dividono il mondo in due categorie: i vincenti e gli sfigati. Tu guarda, come negli US, tale idiozia si sia andata consolidando; tant'è che, verso chi è definito “sfigato”, c'è anche una sorta di disprezzo. E così, oltre il danno, c'è pure la beffa! E, quest'atteggiamento sociale, è talmente dannoso, che, il più delle volte, gli sfortunati sono tali soltanto perché si convincono di esserlo.

E perciò, se ti è chiaro che in questo momento il tuo destino sono io, gioia mia, ebbene, togliamo il culo da qui, trasferiamoci a parlare nel mio appartamentino; dopodiché, esaurite le parole, scopiamoci in letizia sino a scoppiare, perché il destino comunemente inteso non c’entra un beneamato cazzo, giacché a costruirlo, è solo la nostra volontà, e la nostra voglia di averci… bella figa del mio cuore.

Sai tesoro mio, per bene che possa andarci, tu devi considerare che, con gli uomini, dopo averci strizzato tette e culo, e stantuffato per qualche minuto, tutto si termina in un baleno; e ciò sempreché gli si rizzi, beninteso, cosa che non è per niente scontata, e che costringe noialtre a fare pure le crocerossine per consolarli della figuraccia. A differenza di loro, che spesso neanche mostrano di sapere come funzioni, tanto per dire, una cosina chiamata clitoride, oppure punto “G”, tra noi donne il rapporto può essere lunghissimo, piacevolmente estenuante, e quindi l’orgasmo diventa qualcosa di veramente speciale. Oltretutto, non avendo i loro limiti, dopo non molto tempo, noi possiamo ricominciare. E giacché spesso mi dico, “Nessuno sa fare sesso con me, meglio di me”, allora, chi più di una donna, nella fattispecie io, sa come far godere un’altra? Ovverossia te, amore.

Sai, lo dico sempre ai miei amici maschi: per rimorchiare di più e meglio, voi dovreste frequentare un master tenuto da un’esperta femmina lesbica; me, per esempio.

Per ritornare all’argomento topico, tesoro, se per caso tu dovessi tirarmi fuori la questione del pene, che noi donne fortunatamente non abbiamo, ebbene, dovresti considerare che tutta quella prosopopea che loro hanno con riguardo a quell’antiestetica prominenza, spesso pure molto modesta e floscia, è del tutto infondata. Pensaci... di prominenze, noi donne ne abbiamo ben undici: dieci dita e la lingua, e quindi, rispetto a loro, una sola in meno; e neanche ho messo in conto i piedi. Si tratta di ben poca cosa, ti pare? Tuttavia, a differenza degli uomini, noi abbiamo tanta più fantasia nell’usarle, le nostre sapienti prominenze. E se ciò non ci dovesse dare una sufficiente sensazione di pienezza nella penetrazione, giacché le abbiamo minute, possiamo sempre usare, con grazia, una mano intera.

Vedi, dolcezza, in un mondo talmente popolato, che non ha più un gran bisogno della procreazione, sentirsi ed essere omosessuali, o almeno “bi”[1], secondo me è l’atto d’amore più solidale e sublime verso l’Umanità; e adempie pure la saggia, buona, esortazione del Cristo, che dice “Ama il prossimo tuo come se fosse te stesso”. In realtà, amando una persona simile a te, con un corpo non tanto diverso dal tuo, è come se, in maniera traslata, ti stessi amando da te; con il vantaggio, però, di goderti le vibrazioni di un’altra carne. E, come dicevo, neanche pongo l'accento su degli altri vantaggi: grazie alla conoscenza profonda del sé, rispetto alle tue attese e alle tue reazioni psico-fisiche, chi, più di una persona dello stesso sesso, ha la sensibilità e la sapienza per far godere un’altra? Sempreché, oltre ad avere la gnocca vivace, a costei funzioni anche il cervello, beninteso. Naturalmente, affinché tutto ciò funzioni, ci deve essere attrazione: dimmi, amore, io ti attraggo?

«Sei bella Gia, molto; e non lo posso negare».

Vedi? Questa è un'altra importante differenza tra noi e loro: mai, anche se è falso, un uomo etero ammetterebbe di provare attrazione fisica per un altro, e questo perché sono sempre a confliggere tra di loro, con la conseguente necessità di dimostrarsi più forti, cosa che mal si concilia assoggettandosi a farsi penetrare oppure a regalare, inginocchiati, un bocchino.

Noi, invece, giacché più intelligenti e sensibili, siamo pacifiche, e non subordiniamo l'attrazione a tali meschinerie.

Per venire a noi, amore, e non uso a caso il verbo “venire”, che prelude a un auspicabile evento a brevissimo termine che ci riguardi, scopare tra donne è sempre molto, molto piacevole; e, cosa di non poco conto, è pure rasserenante: infatti, non comporta alcun pericolo o ansia di rimanere incinta, e neppure dei possibili rischi conseguenti all’assunzione di pillole varie. Scoparci tra noi è soave, profondamente empatico, e soprattutto, come dicevo, non implica un legame di prevaricazione o dominazione… sempre che tu non ti accompagni con una stronza che, convinta di essere un maschio, a tale si atteggi, magari attrezzata con un pene di gomma. E questo t’induce il sospetto di come, parlando di lesbiche, non si debba mai generalizzare, poiché ve ne sono di vario tipo…quelle che, amando le femmine, tali rimangono felici di esserlo, come me, ad esempio; e poi delle altre, con delle gravi crisi d’identità di genere.

Tuttavia, gioia mia, anche nel caso nostro, purtroppo, non tutto è sempre “rose e fiori”: ci sono donne e donne. Tanto per fare un esempio: quanto mi stanno sulle ovaie quelle di noi che, appena possono, usano la banale frase, “Al femminile”! E quindi, “Un romanzo al femminile”, Una “iniziativa al…”, e così via. Perché non dire, semplicemente e più chiaramente, “Un romanzo scritto da una donna”, cazzo! Che minchia vuoi rimarcare: che esistano delle donne che lo sono, ma che non lo sembrano? E ciò, al punto che lo devi specificare? Francamente, mi sembra una colossale stronzata; anche perché ciò è ambiguo. In effetti, detto così, quello che scrive “al femminile” potrebbe pure essere un uomo, ti pare?

Non c’è davvero limite alla stupidità umana; guarda, per esempio, il vezzo di certe vetero femministe di volgere in maniera inappropriata il genere di alcune parole: la ministra, la direttora, la sindaca, e così via. Per coerente reciprocità, anche i gigolò dovrebbero allora chiamarsi “prostituto”, “puttano”, “bagascio”, eccetera, no?

In quanto alla sofferenza, che tu mi dici aver ricevuto soprattutto dagli uomini, tesoro, devi renderti conto che essa fa parte della vita: a ogni buon conto, sappi che io conosco un modo per far sì che quella spiacevole sia sostituita da un’altra, che invece è molto arrapante».

Non le dissi subito a che cosa mi riferissi, poiché la frusta, nel riceverla come nell’impartirla, gliela feci conoscere più tardi, quando divenimmo delle affettuose, abituali, amiche di letto con un elevato grado di confidenza e intimità, anche intellettuale.

Quando, tempo dopo, noi fummo in più completa sintonia, lei mi confessò che il suo uomo le rimproverava di non essere abbastanza sexy. La cosa mi sorprese non poco, poiché oltre a essere una gran figa, sensuale, lo era, eccome! E se a dirlo è una donna come me, parecchio difficile, ciò non può che essere vero. A delle mie domande più precise, lei mi confidò che quello lì aveva delle difficoltà di erezione, al che compresi ancor meglio le ragioni di quell’aggressività che mostrava nei riguardi della poverina che io mi stavo facendo alla faccia sua: me ne vanto poiché sono dell’opinione che chi non merita non debba avere. Oppure debba, ma nulla di meno di quelle grandi corna che si merita!

E, a questo proposito, devo rilevare che farsi una donna sposata, a patto che il marito non venga a sapere che tu sei lesbica, è un bel vantaggio. Infatti, in genere, l’amicizia tra donne non è osteggiata, ci si può frequentare con grande facilità, e, con un occhio attento agli orari, si può pure rendere più lunghe le corna del marito, scopando nel suo stesso talamo nuziale. Io vado molto orgogliosa di ciò, poiché, allentata la tensione psichica delle mogli grazie alle sublimi scopate, mi riconosco il merito d’aver salvato diversi matrimoni.

Ritornando a quell’impedimento comune a tanti maschi, di quando non gli si rizza, oppure dal non riuscire a mantenere abbastanza a lungo l’erezione da soddisfare la loro femmina, ci sono alcuni uomini che, per costruirsi un alibi, cercano un capro espiatorio colpevolizzando la loro donna; e ciò non è infrequente, purtroppo. È simile a come accadeva un tempo, quando si attribuiva alle donne la causa di non avere dei figli, o di non averli avuti maschi. Quelli lì, dovrebbero invece rivolgersi a un andrologo, oppure a uno psicologo, no? Ma così è, di solito. D’altro canto, poverini, in fondo bisogna pure capirli: rispetto a noi, che se siamo secche, basta usare della saliva o del lubrificante, a loro servirebbe il gesso a presa rapida, e quindi il loro compito è sempre arduo; e ciò, sia nello scopare, che a mantenere viva l’autostima.

Per riprendere con il mio egocentrismo e parlare di me, con riguardo alle cose che nel sesso mi eccitano di più, ebbene, sì, lo confesso: è il profumo di donna! Alle sue prime esperienze omosessuali non capita di rado che qualche mia amica di letto, giunte al punto topico, all’inizio si ritragga. Ecco ciò che mi capitò qualche anno fa con una giovane trentenne sposata che mi ero portata a letto…

«No Gia, per favore, togliti da lì con il capo! Usiamo solo le mani, dai».

«Perché?».

«Per l’odore; anche se non me l’ha mai detto esplicitamente, mio marito mi ha fatto intendere che io ho un odore forte e sgradevole, e, quando gli viene la voglia di… insomma, di mangiarmela, lui tira fuori la scusa che gli piace farlo solamente sotto la doccia con la schiuma. In ogni caso, io l’ho capito, che gli fa schifo, e che il suo è unicamente un patetico escamotage. D’altra parte, io lo comprendo: neanche a me piace il suo odore, e specie il sapore del suo sperma, quando lui mi chiede di fargli un bocchino con l’ingoio».

«Gioia mia! Come gran parte degli uomini, pur ciondolandogli tra le cosce, il tuo maritino non capisce un beneamato cazzo. Accoglimi nel tuo grembo, cuore mio, non resistermi, che il giardino più fragrante sta chiamando le mie narici a riempirmi i polmoni, e la mia bocca a saziarmi del nettare più squisito che mai, mi sia stato dato di gustare.

E tu, amore, se la voglia di succhiarlo non viene da te, e lo fai soltanto perché lo ami e ti senti nella sua carne, non sottostare alle sue insane voglie: fatti valere, ribellati, oppure, con o senza grazia, mandalo a fanculo. Lo capisci, che quello è un segno di disprezzo verso di te? Spruzzare il viso della propria donna con lo sperma, simbolicamente equivale a considerarla inferiore, di proprietà, e da soggiogare, insozzandola. E lo stesso è, quando ti chiede di ingoiare la sua schifezza: in quel momento, ma anche dopo, tu sei solamente una schiavetta al suo servizio, da umiliare, e con la quale combinare ogni porcheria gli passi per l’ottuso cervello».

Lasciando da parte le varie vicende, tante, per ritornare a ciò che mi piace fare, devo riconoscere che, in genere, io sono molto soddisfatta della mia “missione” verso le donne coniugate e no; infatti, se certamente lo faccio per me stessa, per godermi la loro passerina dico, io so che ciò è pure per il loro bene: dopo essere passate per il mio letto e la mia amorevole sferza, quelle donne si riscoprono a essere delle persone nuove, più sicure di se stesse, e, cosa più importante, dimostrano d’aver capito quel che veramente vogliono essere, ovverossia, delle donne libere; e ciò, prima di tutto, dai preconcetti, oltre che da uomini prevaricatori o, peggio, prepotenti e violenti.

Giacché ho citato la sferza, qualcuno potrebbe avere l’impressione che io sia una deviata sadica pervertita; anzi no, giacché nei romanzi, non solo la impartisco, ma anche me la prendo volentieri, è meglio dire sadomasochista. Per sgombrare il campo da equivoci, vediamo un po’di chiarire come stiano le cose…

Lasciando da parte la mia vita reale, che è faccenda che non interessa, nei miei racconti i lettori troveranno in maniera ricorrente la pratica di una blanda fustigazione che, talora, lo diviene anche meno; e ciò, in armonia con la passione suscitata nelle protagoniste. Io spero, e ne sono certa, che i miei lettori mostrino la perspicacia per capire che si tratta di una metafora. E così è pure per le invereconde “effusioni fluide” che ricorrentemente compaiono, le cosiddette “Docce dorate” e i “Pee-drink”, che altro non sono se non degli escamotage per arricchire il repertorio della suggestione erotica.

A prescindere della questione che si tratta di diffuse pratiche para-erotiche dei cui video è pieno il porno-web, nel caso dei miei romanzi, ciò è pure un traslato, un’efficace invenzione per raccontare qualcos’altro che travalica il racconto apparente: la vocazione a donarsi e a possedersi all’estremo, senza compromessi di sorta; e ciò, oltre ogni ragionevole limite che, nella realtà, invece, è assennato porsi. Soltanto per fare un esempio, per dare un riscontro materiale alle frasi d'amore del tipo “Ti amo tanto, che ti mangerei, per averti dentro di me“, e non cadere in qualcosa che richiami il cannibalismo, che altro rimane, se non i fluidi? Da qui, come si diceva, il “Pee-drink“, e la degustazione di umori corporei. 

In ogni caso, riguardo al sadomaso, va rilevato che, benché si tratti di un’allegoria, ciò è abbastanza verosimile, poiché è provato che attraverso il dolore è possibile raggiungere un’elevata euforia erotica. In effetti, attraverso le pratiche BDSM, tra le quali la fustigazione, il soggetto rilascia dopamina, neurotrasmettitore legato a sensazioni di piacere ed euforia, segno concreto di un esaltante piacere sessuale.

Tuttavia, nei miei romanzi il senso si ritrova in ciò che ho appena detto: si tratta di pura invenzione. E non potrebbe neppure essere diversamente, giacché, come avverto nelle “Note dell’Autore”, per resistere ai loro reiterati, amati supplizi, le eroine dei miei racconti dovrebbero essere costituite non di carne, ma di titanio, oppure di carburo di tungsteno. Trattandosi di romanzi che, di frequente, si spingono sino a una sorta di Fanta-sesso, non mancano certo le esagerazioni, come ad esempio le improbabili manifestazioni fluide dell’eccitamento delle protagoniste, che, tanto frequenti e abbondanti, nel reale riguardano un numero di donne assai limitato. Immaginaria, è pure l’Oasi Africana cui mi riferisco, che, così, com’è descritta per la sua geo-conformazione e fertilità, non potrebbe esistere.

Io non mi aspetto che i miei romanzi siano considerati delle somme opere dell'Arte Letteraria; tuttavia, come potrete costatare, sono scritti con uno stile scorrevole, sobrio, e si fanno leggere volentieri. E, cosa che per me è molto importante, benché essi trasudino sesso a ogni pagina, mai, sono gratuitamente volgari; e ciò, perché io sono dell’opinione che, se il sesso è qualcosa di sublime e nobile, tale debba essere anche il modo di raccontarlo.

Riguardo a qualche parolaccia che vi si trova qua e là, per darne giustificazione, riporto un passo che troverete in uno degli atti della Saga...

‘Con gli occhi che ancora lanciavano saette, Gia: «Mi si perdoni lo stile scurrile del mio colloquiare; ma è funzionale all’efficacia della comunicazione e alla sintetica rappresentazione dei concetti che vado esponendo… porco Adamo!».

Ridendo, Rashida chiese: «Perché imprechi contro il primo uomo al mondo, quello del Giardino Terrestre?».

«Non sarebbe ora che, anche loro, avessero la loro parte? Da che mondo è mondo, si è sempre sentito imprecare “Puttana Eva”, ed io penso che si dovrebbe incominciare a pareggiare i conti»’.

Nel prendere commiato, auguro alla vostra fantasia di librarsi alta, e di viversi in gaiezza un'esperienza di lettura che, se emozionante, mi auguro sia serena e catartica.

Vostra Gia.

 

[1] Bi, nel dir comune, sta per bisessuale.

bottom of page